I Gioielli Tibetani

I gioielli tibetani, in Tibet, come in tutti i paesi dove il gioiello non ha solo una funzione estetica ma soprattutto apotropaica e simbolica, i gioielli si accumulano sui vestiti. La maggior parte dei gioielli è infatti realizzato con pietre simboliche ed elementi organici entrambi selezionati per i loro poteri protettivi, taumaturgici e religiosi. Spesso quindi i pendenti sono amuleti e reliquiari che contengono formule magiche, incantesimi e preghiere. I pendenti-reliquiario si presentano sotto varie forme: rotonda, quadrata, ovale o a mandala e sono realizzati in oro, argento o rame.

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Per accrescere il loro valore, la superficie è spesso fittamente arricchita da decori simbolici eseguiti ad incisione o a sbalzo.prezioso gao o ga'u tibetano

I gioielli in Tibet assumono anche un grande valore di status sociale e, per questo motivo, le caste dei funzionari, dei nobili e delle famiglie abbienti sono disposte a pagare grandi somme per indossarli e farli indossare alle loro donne.
Ad eccezione del periodo di governo del XIII Dalai Lama (dal 1929 al 1933), che aveva imposto severe regole e restrizioni di spesa riguardo ai gioielli, fino dall’antichità per i tibetani laici indossare gioielli era non solo un piacere ma anche un dovere morale ed istituzionale che prevedeva lo scherno e talvolta anche l’applicazione di sanzioni ai non adempienti.
Le collane possono assumere dimensioni veramente imponenti con vaghi di grosse gemme tra cui si prediligono l’ambra, il corallo, la turchese e l’agata bianca e nera.

pendente etnico artigianato tibetano gao argento corallo

In agata nera sono realizzate anche perline chiamate Dzi che presentano caratteristici disegni in bianco e nero che, a seconda della forma che creano, assumono un preciso significato e valore.
Il termine Dzi in tibetano è associato alla luce e alla brillantezza (la radice semantica è antichissima e condivisa da molte popolazioni, ad esempio è la stessa della nostra parola luce ma anche del termine dio, cesare e zar). Queste perle sono molto importanti nella cultura tibetana e ad esse sono associate origini mitologiche che variano da provincia a provincia ma sono comunque tutte molto antiche. Alcune tramandano che queste derivano dagli escrementi di un uccello mitico che si nutre di sole pietre preziose; altri che siano insetti pietrificati; altri ancora che siano gli scarti di perle, ben più belle, gettate dagli dei sulla terra quando presentano dei difetti.
Nelle collane, le perle Dzi sono spesso indossate come il pendente principale e centrale inserito spesso tra due o più perle di corallo.
gioielli tibetani agate dziIl corallo, molto apprezzato, conferisce forza e porta fortuna alle donne influenzando favorevolmente il ciclo mestruale.

gioielli nepalesi in corallo

Fino dall’antichità la varietà più pregiata di corallo proveniva dal Mediterraneo ed era riservato alle classi sociali più abbienti ed in effetti talvolta le perle di corallo, di forma generalmente cilindrica bombata, possono assumere dimensioni veramente imponenti.
Già il commerciante veneziano Marco Polo, nel XIII secolo, annotava che sia le donne che gli uomini usavano il corallo nelle collane, per adornare gli idoli e anche per le loro acconciature.
Nella provincia di Qinghai e le donne Ando del Nord Est del Tibet usano pettinare i capelli spartendoli in 108 trecce, numero simbolico di buon auspicio nella cultura buddista; e anche gli uomini Kampa intrecciano i capelli con nappe rosse e li avvolgono attorno alla testa.
Queste capigliature offrono un’ampia gamma di possibilità per inserire tessuti decorativi e pendenti di varia forma e materiale e tra questi i più comuni sono, oltre al corallo, la turchese e l’ambra che possono essere inseriti tra i capelli sotto forma di perle semplicemente sgrossate e forate oppure arricchiti da montature in argento inciso o sbalzato.
Per i buddisti l’azzurro è il cielo mentre il rosso è la luce e, uniti assieme questi due simboli, richiamano l’insieme delle energie naturali.
pendente gau artigianato tibet argento lapislazzuli sillabe mantra La turchese è infatti un altro dei materiali che non possono mancare nei gioielli tibetani poiché rappresenta una smma di tutti i valori benefici spirituali, simbolici e fisici.
La turchese è usata sia sotto forma di vaghi grezzi lievemente smussati e forati, usati nelle collane, sia in lastre tagliate e lucidate in varie forme e usate come pendenti per orecchini, acconciature e collane.
Molti gioielli sono realizzati in argento, oro o rame dorato, dove la turchese viene incastonata in sezioni di varia grandezza e forma per creare un mosaico.
Le donne portano vistosi orecchini in mosaico di turchese mentre gli uomini portano almeno un orecchino al lobo sinistro nella convinzione che, non facendolo, potrebbero reincarnarsi in asini.
rosario tibetano conchigliaAltro protagonista della gioielleria tibetana è l’ambra, resina fossile a cui sono attribuite capacità curative contro l’itterizia. L’ambra più ricercata, per la sua particolare tonalità di giallo, è quella proveniente dal Baltico, che arriva in Tibet attraverso la Russia ed il Turkestan.
Anche l’ambra viene utilizzata abbondantemente sotto forma di vaghi a forma di disco oppure semplicemente sgrossati e forati di varia grandezza che possono essere inseriti sia nelle acconciature che nelle collane di dimensioni talvolta impressionanti.
Tutte queste gemme possono inoltre essere incastonate in lastre cucite sugli abiti e anche su cinture in metallo che servono per assicurare e chiudere le vesti degli abiti tradizionali in tessuto d’estate ed in pelle di pecora d’inverno.
I monaci tibetani hanno un abbigliamento molto sobrio, dai colori caldi nei toni del rosso e dell’arancione a tinta unita e non indossano generalmente gioielli se non un particolare “rosario” in grani di vario materiale che sono indossati tra il polso e la mano per permettere di recitare i vari mantra.

rosario tibetano buddistaDott.ssa Bianca Cappello – storico del gioiello
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FONTI:
Jean Borel, Ethnos, gioielli da terre lontane, Milano 1996
Jane Casei Singer, Gold Jewelry from Tibet and Nepal, 1997

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